Joesley Batista: emissario di nessuno
In un continente abituato a vedere la realtà prendere in giro la finzione, Joesley Batista, comproprietario di JBS, ha deciso di aggiungere un nuovo capitolo al manuale del realismo magico. Il magnate della carne, famoso più per aver fatto tremare i governi che per averli salvati, è partito da San Paolo alla volta di Caracas per chiedere a Nicolás Maduro una rinuncia “dialogata” in stile Donald Trump.
Carlos Amorín
10 | 12 | 2025

Così, senza mandato, senza investitura, senza lo Stato alle spalle, solo con il suo Bombardier 7500, la sua fortuna e quella sicurezza di sé così latinoamericana, con cui alcuni miliardari credono di poter risolvere crisi politiche mentre il resto riesce a malapena a risolvere la lista della spesa.
Bloomberg e i media brasiliani hanno ricostruito “l’impresa”: la notte del 23 novembre Joesley è decollato alla volta del cuore del chavismo, presumibilmente per offrire una via d’uscita negoziata dal labirinto venezuelano.
La sua azienda, JBF, si è affrettata a chiarire che chi viaggia “non rappresenta alcun governo”. Una frase che in America Latina non tranquillizza nessuno: proprio quelli che hanno più influenza sono quelli che non rappresentano nessuno.
Il viaggio coincide con la richiesta diretta di Donald Trump che esige le dimissioni di Maduro. Coincidenza, pressione combinata o sincronia di interessi, il risultato è lo stesso: la politica estera statunitense esternalizza le trattative a imprenditori di fiducia, come chi affida un pacco urgente a un corriere privato. Se c’è qualcosa che definisce il nostro tempo è questa diplomazia in subappalto: i governi deboli cedono terreno e il capitale –più veloce, più opaco, più impunito– avanza dove gli Stati arretrano.
Ma Batista non è arrivato a Caracas come un esordiente. Durante gli anni più duri della crisi alimentare venezuelana, il suo conglomerato è stato un fornitore chiave di carne e pollo per il governo.
Mentre la popolazione faceva code interminabili e i salari si polverizzavano, le navi frigorifere continuavano ad arrivare. Oggi quel passato commerciale viene presentato come credenziale diplomatica: l’uomo che ha rifornito il Paese affamato ora cerca di convincere il leader a farsi da parte.
Una parabola latinoamericana perfetta: l’economia che sostiene la politica e la politica che sostiene l’economia… finché uno dei due decide di cambiare le regole del gioco.
Negli Stati Uniti, secondo alcune indiscrezioni, erano a conoscenza del viaggio, ma senza renderlo pubblico. Il vecchio trucco imperiale: guardare di sottecchi, lasciare fare, valutare dopo. Se funziona, si celebra la “creatività diplomatica”.
Se fallisce, si nega ogni partecipazione. In fondo, il vero messaggio è che ormai la pressione del nord non viene più esercitata dalle ambasciate o dai dipartimenti di Stato, ma circola su jet privati che decollano tra il canto del gallo e la mezzanotte.
Dall’altra parte del ponte aereo, Maduro continua a ripetere lo stesso: complotti esterni, sanzioni ingiuste, cospirazioni ordite a Miami. La visita di Joesley non lo ha smosso di un millimetro.
Nessuna dimissione, nessuna transizione, nessun dialogo reale. Solo un altro episodio che Caracas può usare per alimentare l’immaginario collettivo del nemico onnipresente. Il magnate torna a San Paolo; Maduro rimane chiuso nel suo guscio; la crisi continua a essere una crisi.
Ma l’episodio lascia un’immagine che vale più dell’aneddoto: la diplomazia classica è stata sostituita da una rete flessibile di operatori privati, appaltatori politici, fornitori dello Stato e uomini d’affari che si sentono in diritto di intervenire dove i diplomatici non possono o non osano più farlo.
L’era della geopolitica liquida, dove i confini dello Stato si dissolvono e la politica estera si negozia tra corridoi, moquette e hangar esclusivi.
Quello di Joesley non è un caso eccentrico: è una sintesi. Della cattura corporativa dello Stato brasiliano, del crollo istituzionale venezuelano, del declino della diplomazia regionale e del nuovo ecosistema in cui chi concentra la ricchezza concentra anche l’interlocuzione politica.
In parole povere: in questa parte del mondo, pochi volano mentre gli altri si limitano a guardarli decollare.
Il viaggio a Caracas non ha cambiato il destino del Venezuela, ma ha messo in luce, ancora una volta, la fragilità del continente: basta che un imprenditore decida di giocare a fare lo statista perché i governi siano ridotti a spettatori della propria tragedia.